Montanari Family

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mercoledì 2 febbraio 2022

La casa dei sette ponti, Mauro Corona

 Lo so, lo so, a molti/e di voi Mauro Corona non sarà affatto simpatico. Mi raccomando Mauro non Fabrizio (per l'amor del cielo...), quello con barba e capelli selvaggi, fazzoletto legato sulla testa, mezze maniche fisse anche al Polo Nord.

In effetti pure io quelle due mezze volte che l'ho visto a "Carta bianca" per 5 millisecondi non sono rimasta particolarmente entusiasmata dalle sue esternazioni (ma non sempre ha torto...), però...

Però ho letto tre suoi scritti, "Il volo della martora", "Aspro e dolce" e questo di oggi "La casa dei sette ponti", ed ho apprezzato molto il suo stile. Anch'io come Corona sono un'amante della montagna, un po' perchè ci vivo un po' perchè ci vado in vacanza (montagne diverse) e concordo con la sua visione rispettosa della natura. La trovo realistica e passionale, forse più di quella di Messner, e condivido anche la nostalgia verso la vita passata delle nostre montagne: più povera certo ma forse più vera.

Anche questo breve racconto s'ambienta in montagna, più precisamente sulla mia montagna l'Appennino Tosco-Emiliano. San Marcello Pistoiese e l'Abetone distano da noi, in linea d'aria, solo un sospiro un po' più lungo. Ed ecco che la via si snoda davanti ai miei occhi mentre la narrazione procede.

Un industriale della seta di Prato ritorna di tanto in tanto all'Abetone per incontrarsi con gli amici d'infanzia. Anche lui è originario dei monti, ma ha fatto fortuna in città ed ormai la sua vita è lì, un po' solo certo, ma nella sua intransigenza e nel suo amore per il lavoro la solitudine non incide molto. Però ritorna e, sempre, lungo la strada tortuosa che lo porta a destinazione, nota una piccola casa diroccata, inadatta ad essere abitata, con il tetto ricoperto da teli di plastica colorata ed un camino che butta fumo sempre, sia d'inverno che d'estate. Quella casa attrae sempre la sua attenzione, non può fare a meno di domandarsi chi possa mai averla eletta a propria dimora. Finché un giorno il nostro industriale si fermerà e busserà alla porta. Comincerà per lui un viaggio nel passato che assomiglia ad una delle favole che mia nonna mi raccontava da piccola, per farmi stare tranquilla due minuti...

Veramente questo breve racconto è una favola. Una vera favola, con tanto di morale e con tante chiavi di lettura quanti sono gli occhi che possono leggerla. In ognuno di noi provocherà reazioni diverse, io mi sono molto commossa alla fine e non succede così spesso che un libro mi muova alle lacrime. Ci sono molti simboli nascosti nella narrazione, non da ultimi i sette ponti che il protagonista dovrà attraversare. Essi sono simboli, evidentemente, dei proprio demoni interiori. Ma potrebbero essere anche ponti reali visto che a San Marcello Pistoiese esiste un ponte sospeso, una passerella pedonale a campata unica sospesa sul torrente Lima e lunga più di 200m. Ma a soli 40km sorge anche il Ponte della Maddalena, detto anche "ponte del diavolo", di Borgo a Mozzano famosissimo per la sua forma che sfida le leggi della natura.

Tutto questo per dire come, in questo racconto, la realtà si mescoli con la fantasia e diventi simbolo di un cammino interiore. L'industriale ricco e realizzato compirà un viaggio dentro se stesso, alla scoperta della realtà del suo passato ed alla ricerca della vera essenza del nostro esistere su questa terra. Servirà la catarsi e la rinascita a nuova vita. Ma la vita verrà e sarà migliore.

Un racconto che non porta via molto tempo ma che dona tanto. Lo consiglio sicuramente.

Mauro Corona


GIUDIZIO PERSONALE: ❀❀❀ e 1/2

giovedì 13 febbraio 2014

Quando nascere è un lusso

Oggi sono davvero arrabbiata. Non solo arrabbiata ... ma delusa, avvilita e sconfortata.
Per chiarirvi la faccenda faccio una piccolo quadro della situazione. Noi "quasi montanari" viviamo, come sapete, in un paese dell'Appennino a 60km dalla città più vicina. Fin dal secolo scorso nella nostra valle c'è sempre stato un ospedale; piccolo, diciamo a modo suo incompleto e pieno di difetti, ma c'è sempre stato. E in questo piccolo ospedale in mezzo ai monti si nasceva ... generazioni di "quasi montanari" sono nati in quell'ospedale. Poi, alcuni anni fa, qualcuno si è accorto che il piccolo ospedale era vecchio e scomodo e ne hanno costruito uno nuovo. Tutti i "quasi montanari" hanno gioito per il nuovo grande ospedale, bello comodo e che prometteva di essere pieno di servizi.
Ma il nostro Paese va' male, gente, e questo lo sappiamo tutti. Ciò, in soldoni, vuol dire che a pagare il prezzo più caro debbano essere sempre i più deboli e disagiati. Così, da venerdì 14 febbraio (che ironia, proprio il giorno di S. Valentino...) il punto nascita del nuovo ospedale verrà chiuso. Per sempre.
Così i "piccoli quasi montanari" dovranno andare a nascere a Bologna, dove le maternità sono già oberate di lavoro, ma chissenefrega, meglio chiudere un piccolo centro che però raccoglie tutta la vallata del Reno, dove addirittura si partorisce in acqua, dove si fanno corsi preparto in acqua termale e dove si fanno corsi postparto di massaggio del bambino. Meglio fa sparire tutto questo, tanto a che serve?
Tanto chissenefrega di quattro montanare che possono anche muovere il culo, salire in macchina e farsi 60 km di strada piena di curve e buche magari con le doglie in atto, magari con la paura di partorire e metà strada, magari con l'angoscia perché sanno di aver bisogno di una flebo d'antibiotico.
Oh, ma l'Ausl ha tirato fuori dal cappello una soluzione "all'italiana": pagherà (se poi sarà vero!) il soggiorno in residence a Bologna alle madri a fine termine.... Scusate ma c'è qualcosa che mi sfugge in questo ragionamento .... ah ecco cos'è: ma non dovevano risparmiare??
Poi scusate, ma a me pare che la proposta (mi auguro, almeno, fatta da un uomo) è di una mancanza di rispetto spaventosa: ma secondo voi una donna, vicina al parto, deve essere costretta a fare fagotto e ad andare in un residence ad aspettare delle doglie che chissà quando si presenteranno? Senza considerare che un sacco di bambini non nascono a fine termine; che ne diciamo dei prematuri o di quelli che nascono anche due settimane dopo?
Insomma amiche questa cosa mi sconforta riguardo il futuro che questo Paese può offrire alle mie bambine. Come posso dire loro che vale ancora la pena lottare per migliorare le cose, quando la nostra valle è destinata a morire molto prima che loro diventino adulte? Come posso esimermi dal dire loro di fuggire via, lontano da tutto questo fallimento, da un futuro che viene loro portato via prima ancora che inizino a pensarci? Come posso non fare a meno di pensare che, forse, quello che ci attende dietro l'angolo è una vecchia valigia di cartone....

martedì 16 aprile 2013

L'usignolo

La giornata a calda e soleggiata, sicché, lasciando le finestre aperte, sento il canto degli usignoli.
Dopo un lungo inverno passato rinserrati in casa, quasi ci si era dimenticati della piacevolezza dei suoi della natura.
Decisamente ringrazio il cielo di vivere in campagna!
Cosa c'è di più bello dello stare seduti in pace ad ascoltare il canto degli uccelli, mentre il sole ti scalda la fronte?
E mi tornano alla mente i versi di Keats in "Ode a un usignolo":

Tu arborea driade dalle lievi ali
Che in una macchia melodiosa
Di faggi verdi e sparsa d'ombre innumeri
Canti l'estate con la felicità della gola spiegata...

giovedì 1 dicembre 2011

A proposito di montagna

Ieri vagabondavo per il web, quando mi sono imbattuta in un filmato su You Tube; si trattava della puntata del 19 Marzo 2011 di "Che tempo che fa" in cui Fazio intervista Francesco Guccini sul suo ultimo romanzo "Malastagione".
Al che mi sono detta che dovevo farci un post sopra!
Sì, perchè quell'intervista è sostanzialmente la spiegazione del titolo del mio blog. Spiegazione che avevo sommariamente fornito nel primissimo post, scritto più di 2 anni fa.
Ma spieghiamo meglio e andiamo per ordine altrimenti non ci capirete niente.
Innanzitutto il signor Guccini è, all'incirca, un vicino di casa; infatti il paese dov'è nato e dove, una decina d'anni fa, è tornato a vivere dista circa 5 km da casa mia.
Per chi non lo sapesse, già da tempo Guccini si è dato alla scrittura insieme all'amico Loriano Macchiavelli; i loro romanzi sono sempre ambientati nelle nostre zone ed in momenti storici importanti di questo e del secolo scorso. Insomma sti romanzi mi piacciono assai!
E' quindi con questa predisposizione d'animo che ieri mi sono accinta ad ascoltare l'intervista, curiosa di sentire i "retroscena" di un romanzo che avevo tanto apprezzato.
E quelli ci sono stati, a onor del vero, ma ciò che mi ha spiazzato sono state le "uscite" del signor Fazio .... Mi sono di nuovo trovata davanti ad uno stuolo di luoghi comuni e d'ignoranza (usando la parola nel senso proprio, cioè "non sapere le cose").
Vi linko i due filmati e, se ne avete voglia, guardateli.
Il mio non è campanilismo, sia chiaro, ma credo che a nessuno faccia piacere vedere ridicolizzato e sminuito il luogo dove si è nati, dove si vive, a cui si è legati, peraltro da gente che non ne sa nulla, che non sa nemmeno com'è fatto e come ci si vive.
Dire che l'Appennino non è le Alpi non è sta grande scoperta e non vuol dire proprio niente. Ogni luogo, ogni luogo al mondo, ha le sue peculiartà e le sue bellezze. Cazzo anche il deserto è bello! Cosa vuol dire se le nostre montagne superano appena i 2000 metri? Che sono di serie B? Come ha risposto Guccini, su queste montagne ha imparato a sciare Tomba, e scusate tanto. Su queste montagne si muore, tutti gli anni, proprio perchè vengono prese sottogamba.
Altro punto che mi sta a cuore: non capisco, non ho mai capito e mai capirò perchè sembra che siano tutti convinti che qui viviamo all'era della pietra, magari nelle caverne, fra gli orsi, nelle foreste, senza le comodità della vita moderna. Boh?! Ma perchè io allora  non l'ho mai pensato di nessuno, in tutta la mia vita? Ho conosciuto gente di tutta Italia e non, e non mi è mai passato per il cervello che a casa loro vivessero in un'altra era!
A tal proposito mi torna in mente un anedoto di quando frequentavo l'università a Bologna. Eravamo io ed una mia amica, sempre di qui, e si faceva conoscenza con i nuovi compagni. Una di Bologna, classica fighetta cretina, ci guardò sgranando gli occhi e ci disse:" Ma ... là .... ci sono i monti!!!". Ma dai, sei un genietto. Un altro invece ci disse:" Eh allora d'inverno viaggiate con le slitte!". La mia amica s'infuriava io, più sgamata (sono mezza "piansana" e ste robe le sentivo dalla nascita) li guardavo con compatimento.
Ecco allora, in questo post, nell'atteggiamento di Fazio e nelle parole dei miei ex compagni è perfettamente riassunto il senso del titolo "I quasi montanari": non siamo montanari seri, perchè i nostri monti sono ridicoli, ma siamo comunque montanari, scarpe grosse e ...  e basta perchè nemmeno il cervello fino ci viene riconosciuto.
Ma non è così, e direi che il signor Guccini Francesco nato a Pavana ne è un mirabile esempio.

Che tempo che fa - intervista a Guccini parte 1
Che tempo che fa - intervista a Guccini parte 2

lunedì 28 novembre 2011

Aspettando la prima neve

Come promesso vi posto la foto della mia ultima creazione: un appendino, diciamo invernale piuttosto che natalizio.
Per le creazioni natalizie attendete ancora un pochino. Io finisco sempre sul filo di lana!!

Il "nuovo arrivato" fa bella mostra di sè nel nostro salotto, vicino al camino, e, speriamo che non si sciolga!


giovedì 14 luglio 2011

da "Malastagione" - Macchiavelli/Guccini

"Guardò le cime dei monti e scese con gli occhi fino alla costa bruciata.
Qualche tempo prima la costa era di un verde intenso, qua e là macchiato prima dai fiori di ciliegi selvatici, nati da un seme portato dagli uccelli, e più avanti dai fiori di acacia, dal profumo tanto intenso che arrivava fino al paese, se solo scendeva un alito di vento.
Si chiese chi potesse essere tanto stupido da non capire, da non apprezzare quel paesaggio e sentì una stretta allo stomaco. Era nato fra quei monti e voleva bene a tutto, anche alle slavine, anche ai fulmini che scuoiavano le cortecce delle querce secolari. Dopo qualche anno la ferita si cicatrizzava e restava un segno verticale lungo il tronco e la vita della quercia riprendeva come se mai il fulmine l'avesse scossa.
Ma quel bosco bruciato quanto ci avrebbe messo a rigenerarsi? Soprattutto, si sarebbe rigenerato? Poiana ne dubitava: chi l'aveva incendiato aveva i suoi progetti e sarebbe stato sempre più difficile incastrarli. Già vedeva una schiera di inutili villette incastate sul fianco del monte pesare sul paese, togliergli il respiro e cancellare un rispetto che durava da secoli.
Schiacciò la cicca sotto la suola e si alzò:" Dovranno sputare sangue. Oppure ammazzarmi" ma, tornando dentro, capì che era solo un modo per consolarsi. Cosa poteva opporre lui all'economia? Il suo rispetto, il suo amore per i luoghi che aveva conosciuto fin da bambino? Robetta."

Poiana sono io...