Ormai è quasi una tradizione, intorno alla data del 2 agosto, ogni anno, leggo o vedo qualcosa che abbia a che fare con la strage alla stazione di Bologna.
Ho già spiegato l'anno scorso per quale motivo sono così legata a questa data.
Quello di oggi è un piccolo ebook creato per il trentaquattresimo anniversario della strage. Quest'anno saranno 40 anni e non siamo più vicini alla verità di quanto lo fossimo allora. Non lo saremo mai. Questa strage è solo la più efferata, crudele e, perché no, scenografica, delle stragi che hanno insanguinato l'Italia in quel periodo. Di tutte si è scoperto qualcosa, magari l'esecutore, ma non tutto. I mandanti quasi mai...
Mi è piaciuto davvero molto questo piccolo ebook: 44 racconti di gente comune che racconta dov'era e cosa si ricorda di quel giorno. Fino ad oggi non ero certa dell'origine dei miei sentimenti nei confronti di quest'evento; in fondo avevo solo 7 anni e vive a 60 km dalla città, cosa può aver innescato questo sentimento di perdita, di identificazione, questa ferita che ogni anno sanguina come sa avessi perso anch'io qualcosa quel giorno? Leggendo questo ebook ho scoperto che per moltissime persone è così. Dei 44 racconti la maggioranza sono di persone che all'epoca erano molto piccole, circa come me o poco più, molte vivevano lontane da Bologna oppure erano in vacanza in riviera. Riflettendo ho capito che forse proprio quella è la chiave, il fatto che fossimo bambini o ragazzi. Non potevamo capire in pieno quello che accedeva, che era accaduto, ma, con le antenne sensibilissime che solo i bambini hanno, captavamo lo sgomento, lo smarrimento e il dolore dei grandi.
Ricordo, e di questo ricordo sono certa, le immagini del telegiornale. Sulla piccola TV bianca della cucina, o forse era quella grande come un baule che la seguì, sicuramente in bianco e nero anche se i miei ricordi sono a colori, scorrevano le immagini di un posto che conoscevo benissimo ma che non era più quello. Le macerie, gli autobus con i finestrini coperti da lenzuola, un giornalista che parlava e raccontava di una caldaia esplosa, intorno a lui gli occhi smarriti dei tassisti, dei vigili del fuoco, di gente comune che però era lì, perché Bologna era così non si poteva stare con le mani in mano a guardare.
Ricordo il caldo di quei giorni d'agosto. Ricordo che vagamente dentro di me si faceva strada un'idea che, capisco ora dopo aver letto uno di quei 44 racconti, non mi ha mai abbandonato: d'estate si muore.
Davvero l'ho capito ieri sera, dopo 40 anni, da dove veniva quella strana inquietudine che mi avvolgeva ogni estate, per lo meno finché sono stata ragazzina. D'estate si muore. Poco più di un mese prima, il 27 giugno, la strage di Ustica: sempre Bologna sempre persone innocenti che andavano in vacanza o a casa.
Aggiungiamoci che venivamo dagli anni di piombo ed eravamo nel pieno degli omicidi di mafia: il 21 luglio del 1979 l'assassino di Boris Giuliano, il 25 settembre quello del giudice Terranova; anche il 1980 era cominciato con l'omicidio di Mattarella seguito da quello di Basile. Poi Ustica, poi Bologna. Immaginate le nostre giovani menti sottoposte al continuo elenco di morti violente, perché è vero che eravamo lontani dall'era mediatica, ma è anche vero che il TG lo guardavano tutti, il giornale lo compravano tutti e, soprattutto, in casa si parlava di queste cose, insieme, a tavola. E noi bambini lì, apparentemente distratti dai nostri giochi, ma con le orecchie tese ed il cervello all'erta.
La mia generazione è cresciuta così: in mezzo alla morte. Una morte insensata e che, spesso anche se non sempre, arrivava d'estate. Anche gli anni successivi non furono migliori (dalla Chiesa nell'82, Chinnici nell'83, la tragedia di Stava nell'85 che nessuno ricorderà ma che mi provocò una profonda angoscia).
Ecco, ieri ho capito che da lì è nato tutto: il mio interesse profondo per la strage della stazione di Bologna e quello per le vicende di mafia. Da una parte Bologna è la mia città, ci sono nata, ci ho vissuto e la amo di un amore innato e profondo; la mia città venne ferita, a morte, ma è sopravvissuta, si è rialzata, forse non è mai più stata la stessa, ma non la cambierei con nessun'altra ancora oggi.
Dall'altra essere cresciuti ai tempi in cui la mafia era forte, violenta e faceva paura anche se pensavamo di essere lontani, al sicuro, ha avuto degli effetti.
E' così, siamo figli dei tempi in cui viviamo. Sicuramente i nostri figli verranno plasmati da questi tempi: il coronavirus, il cambiamento climatico, i grandi flussi migratori...
Gli eventi di cui sono stata testimone mi hanno portata ad essere l'adulta che sono oggi, con le mie paure, il mio impegno politico e morale, i miei valori e le mie convinzioni.
Che adulte diventeranno le mie figlie? Sarò capace di guidarle attraverso gli eventi odierni?
Ecco oggi, a 40 anni da uno degli avvenimenti più atroci della storia del nostro Paese, mi interrogo sul futuro, perché se nel passato affondano la nostre radici, allora mi viene da pensare che da questo passato così doloroso abbiamo imparato poco. Da un passato che avrebbe dovuto insegnarci tanto ed aiutarci a creare un popolo socialmente corretto, informato ed impegnato penso che invece sia emerso un popolo preda delle pochezze del presente che non pensa ne' al passato ne' al futuro ma solo al suo immediato egoismo.
Questo penso, ma forse è solo il caldo, l'estate e quel timore che non mi ha mai lasciato del tutto. D'estate si muore.