Vi confesso che questo libro l'ho cercato per mari e per monti. La cosa bella è che ancora adesso non so il perché; voglio dire, non so esattamente cosa mi aspettassi, ma quello che poi ho trovato alla fine mi ha soddisfatto. Sia chiaro, questo romanzo non aggiunge e non toglie niente alla letteratura italiana: è scritto bene (ditemi tutto quello che volete ma non che Brizzi non scrive bene), scorre leggero e, ai più, non dirà niente di che. Non a me.
La linea trainante della narrazione è Vasco, ok, ma appare subito evidente che è un pretesto. Diciamolo, io e Brizzi siamo coetanei (l'ho detto già altre volte che siamo legati dall'anagrafica) e, riflettendoci, io stessa se volessi trovare una linea rossa che ha accompagnato la mia infanzia, adolescenza, giovinezza e, ahimè, maturità non potrei che scegliere il Blasco. Le sue canzoni, piacessero o meno, sono in effetti state la colonna sonora della nostra vita, fino qui. Il libro è una nostalgica e divertente autobiografia della gioventù dell'autore, dalla tenerissima età ad oggi. Ha il limite che se non sei bolognese o non sei almeno transitato spesso per Bologna per parentele varie e/o per studio non lo capisci e non ti lascia niente. Quindi non è un libro per tutti, ma forse, non so, non aveva nemmeno la presunzione di esserlo. A volte credo che si scriva di un argomento perché se ne ha voglia. Punto. Poi se gli altri lo capiscono bene, altrimenti ciao. Fine del discorso.
Stringendo, io l'ho capito. Come ho scritto anche a proposito de "Il matrimonio di mio fratello", io e l'autore condividiamo età, esperienze, luoghi di nascita e di crescita ed anche passioni collaterali: quindi i suoi primi 20/25 anni di vita somigliano molto ai miei. E' stato un bel periodo. Ho letto recensioni feroci e, secondo me di parte, riguardo questo libro. Brizzi non dedica un cantico alla perfezione della sua città, semplicemente descrive come essa è cambiata nei decenni, così come sono cambiati i suoi abitanti. Bologna, nei secoli, è stata tante cose: città etrusca, celtica, romana, longobarda, sede della prima università d'Europa, poi gran casino, poi papale, poi napoleonica, poi di nuovo papale, liberale, fascista ed infine comunista. Un crogiolo di avvenimenti e influenze che ne hanno fatto la città che ho conosciuto: aperta, dotta, a volte snob a volte popolana. Lo canta anche Guccini nella sua dedica d'amore alla città che l'ha ospitato a lungo:
Che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita
Benessere, ville, gioielli
E salami in vetrina
Che sa che l'odor di miseria da mandare giù è cosa seria
E vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perché sa la paura"
E davvero questa è la nostra città: la più piccola delle metropoli italiane, un posto dove ancora puoi conoscere tutti quelli del "tuo ambiente", ma dove c'è ancora la capacità di sperimentare, di guardare fuori dalla propria cerchia; certo, bisogna volerlo, ma le occasioni non mancano.
A causa della pandemia sono più di due anni che non faccio la mia gita solitaria in città e ne ho molta nostalgia. Mi prendo una giornata per me, niente marito niente figlie, prendo il treno e già quando scendo al piazzale ovest sento l'energia della mia città natale. Quand'ero giovane vedevo le possibilità: gente di tutta Italia, negozi, musei, piazze. Ora cerco le memorie: le cerco lungo via Indipendenza, poi in piazza Maggiore ed infine nei negozi del Quadrilatero dove non smetterò mai di cercate l'ombra di mia nonna che grida "Venite! Oggi le arance sono bellissime!"... E ora basta ragazzi/e perché già mi scendono le lacrime e direi che per oggi ho scavato nel passato già abbastanza.
Comunque grazie Enrico Brizzi perché ad ogni libro mi smuovi sentimenti.
Non ve lo consiglio. Vi ho detto di cosa parla. Scegliete voi. Per quel che mi riguarda, beh, obiettivo centrato.
GIUDIZIO PERSONALE: ❀❀❀
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